Le vicende di chi ha subito, ha combattuto e combatte il mobbing

Gennaio 2025

Cassazione : mobbing e stalking sul luogo di lavoro

Corte dii Cassazione Roma

La Cassazione conferma: il mobbing può configurare il reato di stalking, ampliando le tutele legali per i lavoratori vessati.

La recente sentenza n. 32770/2024 della Terza Sezione della Corte di Cassazione penale ha consolidato un orientamento giurisprudenziale importante, confermando che le condotte riconosciute civilmente come mobbing possono configurare, sul piano penale, il reato di stalking, disciplinato dall’articolo 612 bis del codice penale. Questa sentenza ribadisce l’importanza di proteggere la dignità dei lavoratori e punire comportamenti che, se prolungati nel tempo, possono causare gravi danni psicologici e professionali.

Mobbing e stalking: differenze e punti di contatto

Il mobbing è definito come una serie di azioni vessatorie reiterate nel tempo, spesso messe in atto da superiori o colleghi, volte a isolare, umiliare o escludere un dipendente dal contesto lavorativo. Tra i comportamenti tipici si annoverano:

  • Offese e svalutazioni sistematiche del lavoro svolto;
  • Ordini contraddittori o inutili;
  • Esclusione dalle attività o dal gruppo lavorativo;
  • Manipolazioni per indurre il dipendente a commettere errori.

Lo stalking, disciplinato dall’art. 612 bis c.p., è invece caratterizzato da atti persecutori ripetuti che provocano nella vittima un perdurante stato di ansia, paura o la necessità di modificare le proprie abitudini di vita. I comportamenti tipici dello stalking, pur essendo frequentemente associati a contesti privati o relazionali, possono manifestarsi anche in ambito lavorativo.

Secondo la Cassazione, quando le condotte vessatorie all’interno di un’azienda assumono un carattere ossessivo e intimidatorio, producendo effetti psicologici devastanti sulla vittima, si integrano i presupposti per il reato di stalking.

La sentenza della Cassazione n. 32770/2024

La pronuncia ha preso in esame il caso di un dipendente che aveva subito, per oltre un anno, sistematiche azioni di denigrazione da parte del suo diretto superiore. Le testimonianze raccolte e la documentazione medica hanno dimostrato che il lavoratore aveva sviluppato una grave sindrome da stress post-traumatico e disturbi di ansia a causa delle continue vessazioni.

La Cassazione ha confermato la condanna del responsabile, evidenziando che:

  1. Condotte reiterate – Le azioni del superiore non erano episodi isolati, ma parte di una strategia intenzionale e reiterata volta a destabilizzare psicologicamente il dipendente.
  2. Effetti psicologici rilevanti – La vittima era stata costretta a modificare le proprie abitudini di vita e a ricorrere a supporto medico per affrontare le conseguenze dello stress subito.
  3. Applicazione dell’art. 612 bis c.p. – La Corte ha ritenuto che tali condotte integrassero pienamente gli elementi costitutivi del reato di stalking, sottolineando che le tutele offerte dall’ordinamento penale devono essere estese anche all’ambito lavorativo.

Conseguenze legali e tutela per le vittime

Con questa sentenza, la Cassazione ha rafforzato la possibilità di perseguire penalmente condotte di mobbing particolarmente gravi. Le vittime, oltre a poter avviare azioni civili per il risarcimento dei danni subiti, possono dunque presentare denuncia per stalking, attivando un procedimento penale.

La pronuncia richiama inoltre l’attenzione dei datori di lavoro sull’importanza di prevenire tali comportamenti attraverso:

  • Politiche aziendali di sensibilizzazione e formazione;
  • Strutture interne per la gestione delle segnalazioni (es. sportelli di ascolto);
  • Sanzioni disciplinari nei confronti dei responsabili di atti vessatori.

La sentenza n. 32770/2024 della Cassazione rappresenta un ulteriore passo avanti nella lotta contro le discriminazioni e le vessazioni sul luogo di lavoro. Il riconoscimento delle implicazioni penali del mobbing come stalking costituisce un segnale forte a tutela della dignità e del benessere dei lavoratori. È essenziale che le vittime conoscano i propri diritti e possano contare su strumenti giuridici efficaci per difendersi da questi gravi abusi.

Immagine: cortesia Paolo Centofanti, direttore Fede e Ragione.